
⚖️ Corte di Cassazione – Terza Sezione Penale – Sentenza n. 32175 del 28 Settembre 2025
Massima: “È illogica e contraddittoria la sentenza che assolve da violenza sessuale e produzione di pornografia minorile per presunto consenso, ma condanna per atti persecutori, poiché il contesto di sopraffazione accertato invalida la nozione stessa di consenso libero e rende applicabile l’aggravante di utilizzazione della minore, specialmente in presenza di vulnerabilità (handicap)”.
Riferimenti normativi: Artt. 61, n. 2, 5, 11-ter, 609-bis, 609-ter, 612-bis, 600-ter c.p.
Con sentenza n. 1063/2025 la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione si è pronunciata in ordine al gravame proposto dal PG e le parti civili, nonché dall’imputato avverso la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Messina.
Ma al fine di comprendere al meglio la vicenda giova partire dal primo grado.
Il Tribunale di Messina condannava l’imputato a 15 anni di reclusione per:
A) Violenza sessuale aggravata su minore (fidanzata minorenne).
B) Atti persecutori (stalking) aggravati nei confronti della stessa fidanzata minorenne, causandole un grave stato d’ansia e paura.
C) Produzione di materiale pornografico continuata, utilizzando la stessa persona offesa.
La Corte d’Appello si determinava in questo modo:
- Assoluzione per i capi A) e C) (violenza sessuale e pornografia) per insussistenza dei fatti.
- Conferma della condanna per il capo B) (atti persecutori).
- Riduzione della pena principale a 3 anni di reclusione per il reato residuo (capo B).
Avverso la sentenza della Corte di Appello proponevano ricorso per cassazione il Procuratore Generale e le Parti Civili contro l’assoluzione per i capi A) e C) e l’esclusione delle aggravanti sul capo B), lamentando vizi di motivazione e travisamento della prova. Proponeva ricorso anche l’imputato contro la condanna per il capo B) (atti persecutori).
Il punto centrale della censura del Procuratore Generale e delle Parti Civili accolta riguarda il contrasto inconciliabile tra le motivazioni utilizzate per assolvere (capi A e C) e quelle usate per condannare (capo B).
La Corte d’Appello aveva riconosciuto che la persona offesa era “denigrata,” accusata di infedeltà, “tempestata di messaggi e telefonate,” disperata e rassegnata, e in uno stato di ansia e prostrazione.
Nonostante questo quadro di violenza e minaccia, i giudici di appello non hanno tratto le logiche conseguenze, ritenendo il consenso della minore ai rapporti sessuali e alla relazione sentimentale come validamente prestato.
La Cassazione stabilisce che in un tale contesto ambientale di violenza e minaccia, il consenso ai fini del congiungimento sessuale avrebbe dovuto essere valutato con “particolare prudenza”.
La Cassazione sottolinea che l’ambiente relazionale, definito dalla stessa Corte d’Appello come un contesto di violenza e minaccia e di “patologica relazione”, non può essere scisso e ignorato al momento di valutare la formazione della volontà della vittima. In un quadro di subordinazione psicologica e opprimente controllo, il presunto consenso della minore deve essere valutato con particolare prudenza.
L’imputato invece si doleva della valutazione operata dalla Corte di Appello sull’elemento oggettivo del reato. In particolare, denunciava il fatto che la Corte di Appello avesse censurato l’inattendibilità della persona offesa con riferimento agli altri reati, mentre l’avesse ritenuta credibile quanto al capo B).
L’analisi della Cassazione si approfondisce richiamando due elementi cruciali, ritenuti insufficientemente apprezzati nel giudizio di merito:
- La condizione della vittima: la minore era affetta da un handicap diagnosticato come “disturbo del linguaggio espressivo di grado marcato, disturbo misto delle abilità scolastiche, disturbo dell’emotività”. Questo dato, di particolare rilevanza su un piano logico, avrebbe dovuto imporre una cautela ancora maggiore nell’accertamento della consensualità, rendendo la sua volontà particolarmente vulnerabile a forme di coercizione o condizionamento.
- L’esclusione erronea della “Pornografia Domestica”: la Corte di Appello aveva fatto impropriamente ricorso alla fattispecie, di creazione giurisprudenziale, della cosiddetta “pornografia domestica”, che esclude la punibilità per la produzione di materiale pornografico minorile quando il fatto è privo di offensività e le foto sono frutto di un rapporto paritario. La Cassazione stabilisce chiaramente che, in un contesto relazionale che restituisce un quadro di sopraffazione e dunque di “utilizzazione” della minore, è intrinsecamente contraddittoria l’esclusione della punibilità. Non si può ipotizzare un rapporto paritario dove è accertato un contesto di violenza e minaccia. La Cassazione fissa un principio di diritto in base al quale, in presenza di elementi di violenza o sopraffazione, la valutazione deve essere improntata a criteri di “particolare prudenza” per evitare di misconoscere l’utilizzazione della vittima. Cfr. sentenza in commento pag. 9 e 10).
Infine, la Corte ha rigettato il ricorso dell’imputato contro la condanna per stalking, ritenendo la motivazione di condanna del giudice d’appello (su tale specifico capo) adeguata nel descrivere la morbosità e la condotta violenta e minacciosa, e giudicando le censure difensive aspecifiche e tendenti a una non consentita rivalutazione del fatto.
Sulla scorta di tali considerazioni la Corte di Cassazione annulla con rinvio per i capi A), C) e per le relative circostanze aggravanti sul capo B). La nuova Corte dovrà determinare se il contesto di stalking, già accertato, abbia inevitabilmente viziato il consenso della minore, rendendola vittima anche di violenza sessuale e sfruttamento pornografico, in linea con i principi giuridici dettati dalla Suprema Corte.